Di zie ed alcolici: l'invenzione del Bellini cocktail
«E il fidanzatino? E la laurea? E il lavoro?»
Siamo onesti. Abbiamo tutti una zia, tendenzialmente anziana, mezza sorda, dotata di una sottile malignità e alquanto impicciona, che durante i pranzi e le cene di famiglia vorremmo perversamente affogare in un barile di colla vinilica. Non è cattiveria, davvero. È soltanto che donne simili, volenti o nolenti, avrebbero la capacità di far saltare il sistema nervoso anche a un monaco tibetano in meditazione dal 1763.
Ora. So che avete letto il titolo dell'articolo, e - giustamente - vi starete domandando cosa c'entri questa premessa con il Bellini. La risposta è semplice: se una zia tendenzialmente anziana, mezza sorda, dotata di una sottile malignità e alquanto impicciona si fosse fatta i fatti propri, la catena di eventi che ha portato alla nascita di tale, deliziosa bevanda non si sarebbe mai verificata.
Ancora confusi, immagino. Suppongo sia il caso di far luce sulla vicenda, introducendone la figura chiave.
Giuseppe Cipriani nacque a Verona nel 1900. Poiché la sua famiglia non era benestante, finiti gli studi si vide costretto a cercare subito lavoro. Usando le sue stesse parole, «vagavo da un mestiere ad un altro: appena sentivo di aver appreso abbastanza, me ne andavo, perché il mio desiderio di cambiamento e novità mi portava sempre altrove. Facevo impazzire i miei datori».
Il giovane Cipriani riuscì a trovare la sua stabilità nel settore alberghiero veneziano, da principio come cameriere: fu in quel periodo che iniziò a capire realmente «quanto le persone abbiano bisogno delle persone». Le sue capacità di interazione coi clienti non passarono inosservate, e il direttore dell'Hotel Europa lo promosse a barman. Fu così che Giuseppe cominciò a coltivare il suo sogno: aprire un locale tutto suo, elegante e raffinato. Il problema, ovviamente, era la mancanza di denaro. Ma il destino, fortunatamente, decise di dargli una mano; o più semplicemente, la nostra cara zia ci mise il becco.
Harry Pickering era un ragazzo americano trasferitosi a Venezia nel 1927, dietro gentile suggerimento di sua zia, per curare il suo sempre più grave problema con l'alcol. La pia signora era così preoccupata per le sorti del nipote che aveva deciso di accompagnarlo, accollandosi tutte le spese del periodo di rehab del giovane.
Per non farsi mancar nulla, portò con sé sia il suo cagnolino che, soprattutto, il suo giovane, aitante accompagnatore. Sia mai che la nobil dama fosse rimasta senza protezione. Ma questi son piccoli dettagli.
Non siate maliziosi: magari gli studi scientifici dell'epoca avevano dimostrato che la concentrazione salina delle acque del Canal Grande faceva passare la voglia di attaccarsi a una bottiglia di Scotch.
Comunque. Un bel giorno - per motivi ignoti - Harry e sua zia litigarono. Quest'ultima tornò in America, mentre Pickering, senza nemmeno un centesimo in tasca, restò bloccato in Italia. Cipriani, che aveva preso in simpatia il giovane yankee, decise di fargli un considerevole prestito di 10.000 lire, consentendogli così di partire verso la sua terra natìa. Nel 1931, improvvisamente, Harry risbucò a Venezia, restituì a Giuseppe la somma in questione, e vi aggiunse altre 30.000 lire, intimandogli di usarle per aprire finalmente un locale tutto suo.
Il 13 maggio dello stesso anno si tenne l'inaugurazione dell'Harry's Bar,
che Cipriani chiamò così in segno di riconoscenza nei confronti del suo amico statunitense.
L'Harry's Bar conobbe sin da subito un immediato successo, sia tra i clienti ordinari, che tra gli intellettuali e gli aristocratici. Il libro ospiti, ad esempio, contiene le firme di Georges Braque, Truman Capote, Orson Wells, Charlie Chaplin, Peggy Guggenheim, Barbara Hutton ed Ernest Hemingway.
Nel 1935 i camerieri, per un curioso caso del destino, si ritrovarono addirittura a servire contemporaneamente Re Alfonso XIII di Spagna, la Regina Guglielmina dei Paesi Bassi, Re Paolo di Grecia e Re Pietro di Jugoslavia.
In quest'atmosfera internazionale e cosmopolita, Cipriani ebbe una felice intuizione che cambiò definitivamente la sua intera esistenza, consegnandolo alla storia e alla memoria eterna. Mi riferisco, ovviamente, alla creazione del solo e unico Bellini.
Questo cocktail, appartenente alla categoria degli sparkling, è un mix di vino bianco frizzante - solitamente Prosecco o Brut, in alcuni casi Champagne - e di polpa fresca di pesca bianca schiacciata.
Per via del suo colore rosato che ricordò a Giuseppe il colore della toga di un santo in un dipinto di Giovanni Bellini, egli intitolò la bevanda al pittore veneziano.
Il resto è storia. Il Bellini divenne famoso a livello mondiale, guadagnandosi la fama di vera e propria eccellenza italiana, e insegnandoci al tempo stesso una cosa: non tutte le zie vengono per nuocere.
Francesco Bugiantella