Pankina: un kasher-gourmet al centro di Tel Aviv
Un mix vincente di grinta ed esperienza che ha conquistato il cuore pulsante di Tel Aviv. Il quartiere di Dizengoff, a due passi dal mare, di giorno affollato di turisti, di notte animato dalla movida dei giovani israeliani. È qui che c’è un particolarissimo angolo d’Italia: il ristorante Pankina, punto di riferimento per chi vuole mangiare una cucina di pesce (freschissimo vista la vicinanza con il porto) che rispetti i dettami della Kasherùt, l’insieme di regole e tradizioni alla base della cucina ebraica.
La scintilla nasce dalla perfetta combinazione di tre soci: due chef, Emanuele Diporto (con esperienza pluriennale nelle cucine dei grandi ristoranti romani), Raffi Fadlun (ex proprietario della Taverna del Ghetto a Roma) e Scialom Zarug, con un lungo passato da Mashgiach, la figura che certifica la qualità kasher in stabilimenti e ristoranti ebraici.
Com’è nata l’idea del vostro ristorante?
«Abbiamo aperto da un anno e, personalmente, Pankina è stata la chiusura ideale di un percorso. Ho sempre avuto la passione per la cucina, una passione che ha continuato a crescere durante il mio lavoro di Mashgiach. Grazie all’incontro con i miei attuali soci, sono riuscito a dare uno sbocco a questa inclinazione» racconta Scialom.
Che tipo di ristorante è il Pankina?
«Il nostro target è medio-alto, sia per il tipo di cucina che proponiamo, la kasher di pesce, sia per la nostra posizione. Siamo praticamente nel cuore di Tel Aviv: a Dizengoff di giorno ci sono moltissimi turisti, di sera il quartiere è popolato da giovani intorno ai 25 anni».
Che tipo di ristorante è il Pankina?
«Il nostro target è medio-alto, sia per il tipo di cucina che proponiamo, la kasher di pesce, sia per la nostra posizione. Siamo praticamente nel cuore di Tel Aviv: a Dizengoff di giorno ci sono moltissimi turisti, di sera il quartiere è popolato da giovani intorno ai 25 anni».
Dunque, che tipo di clientela avete, principalmente italiana o anche internazionale?
«Siamo un punto fisso per la comunità italiana qui a Tel Aviv, ma proprio per la nostra posizione privilegiata riusciamo ad attirare diverse tipologie di clienti. Turisti di giorno, ma anche molti francesi, molti avventori europei e israeliani la sera. In poco tempo abbiamo raggiunto un traguardo importante. Chi abita qui ha imparato a conoscerci e sono in molti a tornare, abbiamo già una clientela affezionata».
Quali sono i vostri piatti forti, quelli che vanno di più?
«Siamo a due passi dal porto, il pesce domina la nostra offerta gastronomica, ma viste le condizioni climatiche di Israele, dove la gente va al mare per 10 mesi all’anno, sono i piatti “mediterranei” quelli più richiesti. Gli “Spaghetti alla Pantesca” (con pomodorini e capperi) preparati da Emanuele, le preparazioni con la bottarga o i filetti di spigola».
Preparate solo piatti della tradizione italiana?
«Per il momento sì, abbiamo cominciato da poco e vogliamo concentrarci sulla nostra idea di cucina. Ma in futuro non escludiamo di lanciarci in qualche esperimento “fusion”».
A proposito dell’idea di cucina del Pankina, è proprio lo chef Emanuele a illustrarla: «Quello che cerco di fare è portare in questo posto la mia esperienza trentennale nei ristoranti romani e applicarla alla cucina kasher. Vogliamo offrire ai nostri clienti una cucina kasher-gourmet».
Per arrivare all’obiettivo, oltre ai rigorosi controlli della Kasherut, c’è un ulteriore step che è garanzia di qualità, aggiunge Emanuele. «Controlliamo rigorosamente che le materie prime utilizzate siano non di prima qualità, ma eccellenti. A partire dal pesce, di cui ci riforniamo quotidianamente, passando per la pasta. Ordiniamo le migliori marche dall’Italia e realizziamo quella fatta a mano con le farine top, sempre provenienti dall’Italia».
Insomma, il mix tra Scialom, Emanuele e Raffi è quello che rende unico il Pankina: «Abbiamo tutti un grande background in cucina, e conosciamo rigorosamente la tradizione italiana e kasher - dice Scialom - è così che riusciamo a valorizzare il gusto italiano».
Ma il segreto del Pankina, tra un presente di successo e la prospettiva di aprire un altro ristorante kasher, ma con offerta di carne, non è solo nel gusto, è anche nell’accoglienza verso i clienti. Sia Scialom che Emanuele si soffermano sull’origine del nome: la “k” al centro è solo un artificio per farlo pronunciare correttamente in lingua ebraica (con il “ch” avrebbe suonato “pancina”), ma la scelta ha radici semantiche ben precise. La parola panchina, in ebraico, rimanda al concetto di riposo, di comfort, fa pensare a un posto dove sentirsi al sicuro e coccolati. Che, alla fine, è quello che tutti i clienti cercano nel loro ristorante preferito
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